Una roccia.
Mostro rimasto dai tempi mitici, che spiaggiò una volta e non riuscì a tornare con la bassa marea; e vista dal sole – o dalla rabbia impotente, chissà – rimase petrificata, con l’ultimo grido disperato spaccato nella bocca.
Una sola mossa. Uno sguardo che mi segue. Un pensiero troncato.
Sarebbe stata una storia bellissima, tipica e banale – ma non è mai stata raccontata, né tanto meno vissuta.
Viveva negli abissi, dove gelide sono le acque ed eterna l’oscurità; cercava le navi affondate e ne divorava la storia. E quando aveva voglia d’alcuna delizia s’avvicinava alla superficie, cercando delle barche, e banchettava dei sogni dei marinai. Gli rubava il ricordo dell’amata, l’immagine del porto perseguito o la lealtà verso il capitano – e così nascevano altre storie, intense, sanguinolenti, deliziose, e lei le seguiva, finché le navi affondavano senza che mai nessuno sapesse del loro destino.
Eravamo ancora all’alto mare, dove le onde son maestose ed i venti imprevedibili. Volevo vivere le storie io, volevo vivere quell’unica storia.
Ma in un momento qualcosa si mosse nelle acque gelide, scure e profonde – e dall’oscurità si separò un’ombra ancora più nera. Come tutte le ombre, era un contrappunto perfetto di chi la proiettava. Quell’ombra era la mia.
Ti avrei an-negato anche il nome – e me ne sarei pentita –, ma di quello non n’ero capace. Ma per quel momento non ti perdono mai.
Chissà se la tempesta o una carezza delle stelle ancora le permette di tornare all’alto mare. Sempre in ricerca di storie, quelle notti banchetta di nuovo dei ricordi e dei segreti che solo al mare confidammo.
Magari ci potremmo anche trovare, per un solo momento. Non so se mi vedi ancora però: il mare è enorme e tu troppo lontano.
Ma l’alba sempre la troverà lì, roccia sulle rocce, rigettata, petrificata, con l’ultimo grido spaccato nella bocca.
Cantami una sola canzone ancora.